Antonio Maeso: “Un pericolo nascosto lungo il TT Course”

Antonio Maeso è il pilota spagnolo attualmente più veloce all’Isola di Man, record che detiene da tempo nonostante un allontanamento dal Mountain Course durato ben quattro anni. 

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Maeso sulla moto elettrica dell’Università di Nottingham al TT Zero 2017 (foto: Barry Clay)

Maeso, madrileno classe 1979, è stato infatti vittima di un bruttissimo incidente durante la Superbike Race al TT 2013. Una gamba distrutta, un’operazione durata 12 ore e l’amputazione evitata solo dopo aver scongiurato i medici dell’ospedale di Liverpool, proprio come fece Ian Hutchinson. Un incidente, tuttavia, passato piuttosto in sordina.

Antonio, infatti, non è mai caduto dalla propria moto. I danni subiti sono stati causati da quello che lui definisce “un pericolo nascosto lungo il circuito del TT”. E a fine maggio 2017, Maeso è finalmente tornato all’Isola di Man, non solo per competere nella classe TT Zero sulla elettrica dell’Università di Nottingham, 4 anni dopo il suo “quasi ritiro”, ma anche per andare a fondo della questione, cercare cosa aveva causato tale disastro.

Ecco il suo racconto.

 

Il mio nome è Antonio Maeso, sono un road racer al settimo TT. Sto scrivendo questo nella speranza che sia di aiuto ai miei colleghi piloti sia al TT che al Manx GP e per coloro che verranno a correre all’Isola di Man negli anni seguenti.

E’ successo esattamente quattro anni fa, domenica 2 giugno 2013, durante la gara Superbike. Il meteo aveva avuto il suo ruolo e la prima gara era stata posticipata a quella domenica. Per me andava bene. La gara Superbike è la più difficile dell’intera settimana poiché si passa dai tre giri al giorno durante le prove (tempo permettendo) ad una gara di sei giri con le moto più veloci del paddock. In quel momento la mia BMW Stock era più veloce di quanto potessi fare io, che venivo da una settimana difficile di prove ed una North West 200 molto dura dove non ero per niente in forma, essendomi rotto una costola giocando a basket un mese prima dell’evento. Sapevo che la gara Superbike sarebbe stata la più difficile della settimana per me e dopo aver superato questo momento cruciale avrei proseguito più facilmente fino al Senior.

Stavo migliorando giro dopo giro ed ero riuscito a lasciare indietro Ian Mackman e la sua Norton dopo il secondo pit stop ed entrare nella top 20 ancora una volta. Ricordo che stavo per affrontare il “Gooseneck” al sesto giro quando ho sentito il bisogno di usare il mio ultimo tear off…ma non riuscivo a trovarlo. La cosa mi infastidì parecchio perché non riuscivo più a vedere molto bene, ma continuavo comunque a spingere forte. Appena scalai una marcia per affrontare la curva a destra alla fine del “Mountain Mile”, ho pensato di essere riuscito a tranquillizzarmi e di poter guidare con calma fino a “Glencrutchery Road”, considerando la situazione e che non sarebbe stato difficile mantenere la mia diciannovesima posizione.

 

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foto: antoniomaeso.blogspot.com


C’è una curva a destra di cui non sono riuscito a trovare il nome (qualcuno dice che si chiami “Casey’s”), subito prima della sinistra chiamata “Black Hut” (che a sua volta è l’ultima prima della “Verandah”); c’è una piccola postazione dei marshals sulla sinistra e il cordolo in uscita colorato a strisce bianche e nere. Mentre stavo per affrontare questa curva pensavo appunto di aver accettato il fatto di non mettermi nei guai in queste ultime miglia di gara… ma “stranamente” il mio polso destro non agiva di conseguenza. La stanchezza iniziava a farsi sentire e, nonostante la mia mano destra continuasse a tenere spalancato il gas, realizzai di essere fuori traiettoria per la curva, viaggiando al centro anziché a sinistra. Non avevo molta visibilità, come detto, e questi due fattori avrebbero dovuto impedirmi di pensare alla decisione che stavo per prendere. Non considerai, però, stanchezza e visibilità, ma solo il fatto di essere fuori traiettoria. In quella situazione pensai <<bene, se noi (parlando in generale per i piloti) lasciamo sempre un metro all’interno di questa curva, perché io non posso sfruttarlo per compensare il mio essere fuori traiettoria, mantenendo la velocità e non colpendo il cordolo in uscita?>>.

Tutto questo successe in decimi di secondo, quindi la decisione sbagliata venne presa istantaneamente. Entrai in curva molto più stretto del normale a causa della mia traiettoria e, nonostante la possibilità di sfiorare un po’ l’erba (c’era “solo” una sponda con l’erba in quel punto), stavo riuscendo a percorrere questa linea improvvisata…

Bang! Sfiorare l’erba non doveva essere esattamente così…

Ho poi sentito un rumore e la moto si è sconnessa al punto da farmi andare direttamente verso il cordolo in uscita. Istintivamente sono riuscito a non colpirlo e finire in un piccolo spazio prima del cordolo. Mi sono rimesso in traiettoria ma il sollievo di non essere caduto durò solo mezzo secondo, il tempo che impiegai a guardare in basso verso il ginocchio destro e realizzare che la mia caviglia non era più allineata ed era totalmente fuori controllo benché ancora appoggiata sulla pedana.

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foto: antoniomaeso.blogspot.com

<<Bene, ti sei distrutto la gamba. E adesso?>>. Beh, il pensiero successivo fu questo e durò un altro mezzo secondo: <<No! Non posso finire la gara, no, no!>>.

Il dolore che stava salendo mi stava bloccando e il tempo di decidere cosa fare era diventato più ristretto del mio budget per il TT… A quel punto ero già quasi a “Black Hut” e potevo vedere i marshals alla “Verandah”. Non potevo rischiare di cadere e perdere la gamba, dovevo cercare di frenare con l’altra gamba in qualche modo.

Arrivi da cinque giri e mezzo su una Superbike e il tuo corpo non è pronto così velocemente a darti stabilità. Contai le marce a scalare e, una volta in prima, mi preparai per una manovra molto difficile. Sull’erba all’interno di “Black Hut” sono riuscito ad appoggiare il piede a terra e spegnere la moto. E poi ho avuto un altro di quei pensieri che qualcuno direbbe non essere opportuno in quei momenti: <<Ok, è la fine del tuo TT e, nella tua situazione, molto probabilmente è la fine di tutta la tua carriera al TT. Hai fatto del tuo meglio amico, ma è finita>>.

I marshals alla “Verandah” erano i più vicini ma, non avendomi visto colpire niente ma solo fermarmi e muovere la testa su e giù, ovviamente hanno pensato si trattasse di un problema meccanico. Quindi non si sono precipitati da me, lasciandomi in una drammatica situazione e perdendo secondi vitali in cui stavo sanguinando dal mio ginocchio distrutto. Quando furono abbastanza vicini da potermi sentire ovviamente iniziarono a darmi le migliori cure, che poi proseguirono finché non tornai a casa un mese più tardi: marshals, personale dell’eliambulanza, Nobles Hospital, organizzatori, Riders Support, Liverpool Royal Hospital, ecc ecc. Sono veramente grato a tutti loro.

Quello che mi successe dopo non credo sia pertinente con l’obiettivo di questo scritto, ma dirò comunque che mi ci sono voluti 4 anni per tornare sul Mountain Course, quando chiunque un po’ pragmatico non avrebbe mai pensato potesse accadere. Il mio deve essere stato uno dei più brutti incidenti nella storia del TT occorsi ad un pilota non caduto dalla moto.

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foto: antoniomaeso.blogspot.com

Durante tutto questo tempo ho cercato di capire che cosa io avessi colpito per danneggiare così la mia gamba. Per me lì non c’era niente da poter colpire, ma ovviamente ho centrato qualcosa così forte da infortunarmi terribilmente. Ne ho parlato con molte persone, inclusi piloti locali e con una vasta conoscenza del tracciato del TT e nessuno mi ha saputo dire cosa possa aver colpito in quella curva senza nome. Ho parlato anche con due dei piloti più esperti del TT, ma né il mio amico Dave Madsen-Mygdal né John McGuinness hanno potuto capire cosa io abbia colpito. La causa era davvero nascosta per i piloti, ovviamente, passando ad alte velocità.

Chiaramente il mio obiettivo era diventato quello di trovare questo pericolo nascosto, oltre a quello di tornare a correre al TT, una gara che avevo lasciato quando non avrei voluto. Non fraintendetemi, ci sono centinaia di pericoli del genere data la natura del tracciato, ma tristemente ne ho trovato uno in modo molto doloroso e avrei voluto che fosse rimosso per non far accadere la stessa cosa con un altro pilota.

Quello che ho trovato (e spero non ci rimanga ancora per molto) è una specie di blocco di cemento o la base di un cartello stradale di 10-12 cm di spessore e 30 cm di altezza. Ha ancora il segno dell’impatto con il mio ginocchio ed è mimetizzato in attesa del prossimo Antonio Maeso che arriva fuori traiettoria.

Ho scritto questo e sparso la voce nella speranza che il mio caso possa aiutare a rendere leggermente più sicuro il tracciato più emozionante ma anche più pericoloso al mondo per tutti quegli eroi che ci corrono; così che possiamo continuare a fare ciò che amiamo di più per tanti anni a venire.

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