“Joey Dunlop, la leggenda” – A cura di Michele Bernini

Un quieto sole bacia l’Isola di Man. Di norma, durante i primi giorni di giugno, l’isola è  uno dei posti piu’ affollati e rumorosi del pianeta. Ma questa volta, paradossalmente, un silenzio religioso e  colmo di rumore la pervade.

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Joey con il fratello Jim (foto: Paul McLean)

Al latrato delle moto lanciate sul Mountain si contrappone il silenzio di quelli che aspettano.

A ben guardare, non sta succedendo niente di diverso o di nuovo. Anzi, questo copione si è gia’ ripetuto molte volte. 23 per la precisione. Un pilota, sulla sua Honda rossa, sta per vincere una gara, la prima della settimana. Il punto è che quel pilota non è un pilota qualsiasi, e nemmeno un campione come gli altri. Lasciate perdere l’iconografia del pilota-famoso-e-moderno. Il nostro uomo è anziano, quarantottenne. Ha i capelli bianchi. E’ un idolo, ha vinto tutto. La folla non gli ha mai lesinato il suo amore. Anche se è stato definito bollito, finito e troppo vecchio chissa’ quante volte.

Ma non importa.

Quando la Honda rossa n°3 gira giù’ dal rampino di Governors Bridge, l’attesa diventa una trepidazione incontenibile. Lo sguardo del pilota ancora fisso su quell’asfalto magico e maledetto, sinchè, al taglio del traguardo della gara di Formula 1 , l’intera Isola di Man crolla dalla gioia, in un trionfo che abbatte tutte le barriere. Joey Dunlop, anni 48, ha vinto.

Cosa aveva di così speciale questo ometto dai capelli grigi, schivo e taciturno? Chi era William Joseph Dunlop?

Per capirlo bisogna partire da lontano. Dai tempi di Armoy.

Armoy è uno di quei tipici paesini dell’Irlanda, persi nel verde. E negli anni ‘60, in Irlanda era un posto disperso sul serio. In mezzo al nulla o quasi. Ad una manata di acceleratore dal mare. Su quelle strade deserte l’Armoy Armada si allenava. L’Armoy Armada era una specie di team, di sodalizio, piu’ simile ad una compagnia di ragazzi del muretto per dirla tutta, che non ad una squadra. Semplicemente quattro ragazzi delle campagne, buoni amici, che decisero di essere un gruppo. Era composta da Mervin Robinson, Frank Kennedy, Jim Dunlop ed il suo fratello maggiore William Joseph, detto Joey.

I quattro si mettono in luce nelle varie corse nazionali che punteggiano le strade d’Irlanda, con buoni risultati, e si preparano a fare il salto alle gare internazionali, UlsterGp, North West 200 e Tourist Trophy. Nel 1976, Joey debutta sull’Isola di Man. Non vi era mai stato prima e la conoscenza del tracciato era scarsa al punto che in certi tratti, di fronte ai bivi, dovette fermarsi ad aspettare il corridore successivo. Nonostante tutto, si comporta bene, dimostrando di essere uno che impara alla svelta.

L’anno dopo Joey vince la sua prima gara. E’ la Jubilee, competizione ideata per celebrare il regno di Elisabetta, e strutturata in modo da favorire i privati, gli underdog. E’ l’occasione da prendere e Joey la prende. Condendo il tutto con l’ingenuità tipica del ragazzo di campagna, al punto che sul podio, non capì subito cosa fare con lo champagne. Lo avrebbe imparato presto.

Ma prima avrebbe dovuto capirne il prezzo, di quello champagne, nei due anni successivi, sino al 1980. Due anni tremendi, segnati dalle morti dei fraterni amici Kennedy e Robinson, ambedue alla NW200, nel 1979 e nel 1980. Joey è sotto shock, Robinson è anche suo cognato. Arriva a pensare di smettere, ma è nato per correre, è il suo destino, e nel 1980, con un groppo in gola e tanto pelo sullo stomaco, mette a segno il suo secondo centro al TT.

Da lì in avanti cambia tutto. E’ inarrestabile sino alla fine degli anni ‘80, centrando 13 vittorie complessive, di cui 5 consecutive in F1, con due triplette. Sempre in sella a moto Honda ufficiali al 100%, un sodalizio destinato a durare per sempre, caratterizzato da incredibili concessioni della casa madre. In pratica Joey poteva farsi da meccanico, lavorare sulle moto, e pure portarle in giro per l’Irlanda per le sue amate e sconosciute gare nazionali. Ma a fronte di questo, lui ripaga il favore vincendo a raffica. La Honda vende più moto e ringrazia. Sinchè nel 1989 arriva il primo stop, per un brutto crash a Brands Hatch, con conseguente ritorno sottotraccia nel 1990. Joey non è fisicamente a posto, ma ormai è iniziata un’altra era, quella di Hislop, Fogarty e McCallen. Giovani, spregiudicati, e senza paura di dare il 100%. Ed il nostro eroe ha ormai 38 anni, non troppi in gare in cui l’esperienza è fondamentale, ma abbastanza per vedere segni di cedimento.

Però Dunlop non molla e sebbene meno competitivo con le Superbike, continua a mietere successi con le due tempi. E non solo al TT. La North West, l’Ulster Gp, la Mid Antrim, Skerries, non c’è corsa su strada dove Joey non incida a ripetizione il suo nome nell’albo d’oro. Solo Macao rimarrà fuori dal suo carnet per sempre.

Anno per anno Joey costruisce la sua leggenda: come nella 125TT del 1992, quando eguaglia Hailwood e nel 1994, con suo fratello in ospedale con le gambe polverizzate per un crash a Ballaugh Bridge. Joey corre la 125 per lui e per lui vince. Sinchè nel 1995 lascia un’altra zampata nel SeniorTT con la Honda RC45, oltre alla “solita” 250. Il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Nel 1998 la sua carriera sembra di nuovo finita: alla Tandragee 100 cade e si spacca il bacino e perde anche un dito. Lui come sempre tiene botta e decide di concentrarsi sulle piu’ facili 125 e 250. Due mesi dopo, sotto un diluvio degno della bibbia, vince ancora al TT, con la Honda 250. E’ la vittoria n°23.

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(foto: Joey Dunlop Family Collection)

Al di là dei freddi numeri, Joey non è solo un gran pilota. E’ un uomo raro nella sua anima. Certo, è quasi analfabeta e quando parla non è detto che capirlo sia facilissimo. Però sa farsi comprendere dal cuore della gente. Non si tira mai indietro per foto, sorrisi ed autografi, è disponibile, è rimasto un uomo normale. Lavora e sempre lavorerà al bar della ferrovia. Gli sono state conferite le due più alte onorificenze dell’impero britannico. La prima per meriti sportivi, ma la seconda per meriti umanitari: a metà anni ‘90 carica dei camion di aiuti e parte per i Balcani, più volte, in solitaria, per consegnarli alla popolazione. Non si vedono tanti piloti del motomondiale fare queste cose. Il tutto nel massimo riserbo, lontano dalla ribalta e senza dare spiegazioni. Non c’è un perché alla solidarietà. Lui sorride e si rintana nella sua timidezza e nella sua vita familiare. E’ sposato con Linda e hanno cinque figli, due maschi e tre femmine, conduce una vita tranquilla e normale.

E il tempo dei sogni vola: si arriva al 1999. Sono spariti i vecchi rivali, Hislop e Fogarty. McCallen, l’uomo del poker di vittorie al TT1996 è dolorante e sul viale del tramonto. La morte dell’amico fraterno Simon Beck in prova al TT gli dà il colpo definitivo. Ma ora c’è all’orizzonte qualcuno ancora più temibile. E’ un omaccione forse sovrappeso, dal fare gioviale, che sembra guidare una moto come si domerebbe un toro nell’arena. Il ragazzone è David Jefferies, detto DJ. La stampa ci va a nozze: DJ contro JD, roba da supereroi.

Il problema è che il ragazzone forse è davvero un supereroe! Va come un proiettile e se ne infischia delle Honda ufficiali dal costo stellare di Dunlop e Moodie. Con una Superbike su base Yamaha R1, costata in tutto 20.000 sterline, mette in riga tutti con una tripletta alla NW200 ed al TT. E non solo. All’Ulster Gp vince la prima gara del meeting, distrugge la concorrenza e fa il record sul giro. Nella casa di Joey Dunlop. Il vecchietto inossidabile non ci sta e nell’ultima corsa del giorno con le Superbike sfodera il colpo da maestro. Parte male e viene dato per tagliato fuori, ma rimonta come un dannato. Si sbarazza degli avversari ed inizia a mordere le calcagna di Duffus, il compagno di Jefferies. Lo passa e poi bastona anche DJ, che risponde con veemenza. Ma Dunlop è indemoniato, ha deciso che si vince e ripassa di nuovo.  DJ per tutto un emozionante ultimo giro proverà a rispondere a quel vecchietto di 47 anni, che proprio non ne voleva sapere di perdere. E non perderà, davanti al suo pubblico impazzito dalla gioia. Nessuno può saperlo, ma quello è l’ultimo Ulster Gp di Joey.

Ormai siamo alle soglie del nuovo millennio e tutti si chiedono cosa farà Joey. Ha 48 anni. Ha vinto tutto e forse l’ha rivinto ancora. Sarebbe ora di smetterla? Lui risponde lamentandosi a scena aperta della sua moto, la Fireblade900, capendo subito che non basta una replica delle R1 per batterle. Riesce a farsi dare la VTRsp1, come quella di Slight. O meglio, quasi come quella di Slight. E infatti le cose quasi non cambiano. Alla NW200 Joey fa solo quinto e ci resta male. Anche lui sa che la sua carriera al top è agli sgoccioli. Ha smesso di fumare, fatto palestra ed allenamento. Il suo fisico è tirato come un tamburo, altro che nonnetto, ma gli anni migliori sono ormai alla spalle. Di certo non si dà per vinto. E vuole andare al TT con almeno una chance.

Con i buoni uffici di Bob McMillan, boss della Honda UK, Joey riesce ad ottenere un motore di Slight e 4 tecnici direttamente dal Giappone per il TT. E la pressione mediatica su di lui aumenta, perché se gli danno certe cose, è perché sanno quel che può ottenere. Ma ancora non basta. Solo dopo che gli avranno portato delle gomme con le specifiche dell’anno prima, Joey inizierà a girare su tempi da top 10. Ha un nuovo compagno di squadra, di cui si parla bene. Questo giovanotto, quando aveva 10 anni, corse sotto il podio di un TT, saltò in spalla a Joey e gli ringhiò: “un giorno starò qui sopra con te”. Si chiama John McGuinness, e nel 1998, da buon profeta sotto il diluvio, è sul podio con Joey. E ne diventa appunto il compagno di squadra per il TT2000.

Il buon Dio dà loro una mano e la notte prima della gara inaugurale, la F1, viene giù il finimondo. Il tracciato si è asciugato prima del via, ma a causa del nubifragio ampi tratti sono umidi, sono cadute molte foglie e solo un esperto del Mountain può sapere dove mettere le ruote senza rischiare troppo. E’ la gara di Joey. Parte fortissimo ed al termine del primo giro è davanti. Rutter lo segue vicinissimo. Jefferies è quarto, ha perso stranamente alcuni secondi, forse una sbandata, ma si rimette presto in carreggiata. Ed al primo pit stop annulla lo svantaggio e si porta in testa. Pochi decimi, ma via via che la pista si asciuga, Jefferies riesce a far valere la sua irruenza. Stupendo ancora, Dunlop resta vicino e tiene Jefferies sotto pressione, finchè a metà del 4° giro la sua Yamaha tira gli ultimi, col cambio rotto.

Per un giro e mezzo l’isola diventa il posto più trepidante del mondo. Tifosi, team, marshall, piloti avversari, tutti se ne fregano delle convenzioni e lo incitano. Lui capisce e si farà trascinare da quest’onda fluttuante di entusiasmo fin sul traguardo, dove verrà portato in trionfo e romperà, nel tentativo di stapparla, la bottiglia di champagne. E non è finita.

Il vecchietto a razzo mette in riga di nuovo tutti nella 250, e la mattina dopo sbaraglia la concorrenza nella 125. Tripletta. La terza della sua vita. Quando, poche ore dopo la vittoria della 125, al via della Junior600, lo si vedrà partire come una cannonata, di nuovo, in testa per l’ennesima volta, più di uno si chiederà dove voglia arrivare Joey Dunlop. Ma ormai il sogno è finito. Complice l’asfalto pulito e la freschezza fisica, Jefferies ed Archibald riprendono Dunlop e si fronteggiano poi in una gara da pazzi furiosi, a suon di record sul giro. Vincerà Jefferies. Archibald 2°, Dunlop 4°.

L’ultima gara dell’edizione 2000, il SeniorTT, sarà il canto del cigno di Joey. Un buon terzo posto, col suo miglior giro di sempre, nella sua ultima tornata di gara al TT. Quel giorno vedrà la vittoria di Jefferies, alla sua seconda tripletta, glorificata battendo quel record di Fogarty che resisteva dal 1992. Se c’è un candidato ad essere l’erede naturale di Joey, quello è Big Dave. Ma ora cosa fara’ Dunlop? Torna a casa con tutti gli onori a Ballymoney, dalla sua famiglia ed al suo lavoro al bar della Ferrovia. Bob McMillan arriva ad offrirgli soldi pur di non farlo più tornare al TT. E’ il momento giusto per chiudere, da vincente e con tutte le ossa al loro posto. Ma Joey ribatte che spesso non ha preso soldi per correre, nemmeno da campione del mondo, ed ora si pretende che li prenda per non correre? La realtà è che Joey e le corse sono un’unica cosa.

Come sempre, ai primi di Luglio, si carica le sue moto sul furgone e se lo guida sino a Tallin, in Estonia. Una garetta sconosciuta. Se vince prende il premio di gara, viceversa è uno dei tanti, quello che in fondo ha sempre voluto essere. La mattinata inizia bene, vince la Superbike, sotto il diluvio e fa doppietta con la 600. Al pomeriggio parte in testa alla 125, sempre sotto l’acqua. Sinchè, per motivi mai chiariti, in una curva vola per la tangente prendendo in pieno una pianta. Un istante dopo William Joseph Dunlop giace morto sull’asfalto. Vittorie, rischi, anni di gare, gloria e pericolo si condensano istantaneamente in quell’attimo.

Il mondo delle gare è costernato. Solo un mese prima tutti erano presi dall’eccitazione per le sue vittorie. Ora sono tutti tornati alla realtà. E in questa realtà le corse stradali sono l’incarnazione più pericolosa, di uno sport pericoloso a prescindere. In 50.000 andranno a salutarlo per il suo ultimo viaggio. L’ultimo viaggio di King of the Roads, il Re delle Strade. Joey compie l’ennesimo miracolo: non se ne vola via del tutto. Rivive nelle miriade di caschi coi suoi colori sparsi in tutti i ritrovi da centauri del mondo. Rivive nelle statue gemelle orientate l’una verso l’altra, poste sul Mountain ed a Ballymoney. Rivive in quel suo atteggiamento da antidivo, da persona normale e perbene, che ha vissuto con modestia il suo essere campione del mondo, per 5 volte, 26 volte vincitore al TT. Rivive nelle decine di foto, disegni, perfino canzoni, tatuaggi, che la gente fa pensando a lui, il cui mito, a 15 anni dalla scomparsa, brilla di luce propria.

Il TT resta nelle mani di David Jefferies. Nel 2001 non si corre a causa dell’epidemia di afta epizootica, ma nel 2002 DJ vince su tutti e su se stesso, demolendo ogni record, in ogni categoria. Sperando che questo gli dia la chance di correre finalmente in Superbike British e mostrare il suo valore anche sulle piste “normali”, arrivando tra i migliori, magari sino al mondiale. Purtroppo quando sembra fatta per il 2003, il team si rivela una mezza bufala. Big Dave a denti stretti deve ripiegare di nuovo sulla stock britannica, da lui gia’ vinta due volte. Pagando tutto di tasca sua. Arriva al TT meno sereno del solito. Anche a causa di un compagno di squadra, Adrian Archibald, che alla NW200 lo ha surclassato e di Ian Lougher sulla temibile Honda ufficiale ex-Edwards. La pressione di veder crollare il muro delle 130 miglia di media, così lontano ma per tutti così alla sua portata, diventa forte. Per lui che l’anno prima era stato non ufficialmente cronometrato da suo padre a 129 mmiglia di media. Un suo meccanico in vena di confidenze, dopo qualche pinta, confida ad alcuni piloti che Dave sembra drogato dalla velocità. Le prove proseguono tra maltempo e guai tecnici alle sue Suzuki.

Finchè un soleggiato giovedì pomeriggio, le condizioni sono ideali e le moto a punto. Jefferies rimette le cose al loro posto, miglior tempo della settimana con partenza da fermo ed un giro lanciato di fronte a sè. Non sa che una moto ha rotto il motore pochi km avanti a lui. Dave ne prende in pieno la scia d’olio ed esce di strada a Crosby. Una curva delirante da 300 all’ora in mezzo a delle casette, ove in caso di incidente l’ipotesi contemplata è una sola. DJ muore sul colpo, il suo corpo offeso in modo orrendo.

Il fraterno amico John McGuinness è il primo ad arrivare in quella che pare una zona di guerriglia. Un muro è abbattuto, pietre ovunque, la moto ha travolto un palo del telegrafo ed i cavi sono tesi ad altezza uomo in mezzo alla pista, ove quel che resta di Jefferies giace. Jim Moodie resta impigliato col collo nei cavi del telegrafo. McGuinness chiude gli occhi per non guardare. I cavi all’ultimo si spezzano, Moodie se la cava con una contusione.

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(foto: Joey Dunlop Family Collection)

Il giorno dopo, ambedue da professionisti qual sono, ripasseranno in 6° piena in quel punto, ma il destino ha vinto la sua partita. E non è sazio. Falcia un’intera generazione di top rider irlandesi. Britton, Linsday e Finnegan, tutti potenziali astri nascenti del TT muoiono sulle strade d’Irlanda negli anni successivi. Nel mentre, John McGuinness diventa il leader e l’erede di quella generazione perduta. Se gli anni ‘80 furono la decade d’oro di Joey Dunlop, nei primi 15 anni del nuovo millennio sarà John l’uomo da battere al TT e nelle gare stradali più importanti.

Nel 2008 il fato chiama a sè pure Robert Dunlop, il fratello di Joey, durante le prove della North West 200. Uno stupido incidente in cui un problema tecnico lo rende una marionetta alla mercè degli eventi. Dunlop cade a Mathers Cross. Darren Burs non può evitarlo. Forse questa volta è davvero tutto finito, il destino ha chiuso tutti i conti. No. Decisamente no. C’è una scheggia impazzita. I figli di Robert, Michael e William, decidono che si corre lo stesso. Si schierano solo nella 250, la categoria in cui il loro padre è morto, coi segni del crash ben impressi sull’asfalto di quella piega da infarto che è Mathers Cross. William non riesce nemmeno a partire per problemi tecnici, quasi che una volontà superiore si accanisca contro i Dunlop. Ma Michael non si limita a correre, vola. Contro McGuinness, contro un fato crudele, contro i benpensanti e contro la logica. Corre e vince, dopo un duello col cuore in mano, con le lacrime che non si fermano sul podio.

Quando, l’anno dopo, si presenterà al via del TT con un casco recante per metà i disegni di Joey e per metà i disegni di Robert, e con quel casco taglierà per primo il traguardo della supersport, una nuova era si apre. I Dunlop sono ancora qui. Il destino vada in malora.

 

A fine stagione 2015, i fratelli Michael e William Dunlop sono considerati due tra i migliori road racers del pianeta. Michael ha raggiunto un totale di 11 vittorie al TT. Il record dello zio Joey, 26 centri, è per ora inviolato. John McGuinness lo rincorre da quota 23 a 43 anni suonati.

 

Michele Bernini

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8 reazioni a “Joey Dunlop, la leggenda” – A cura di Michele Bernini

  1. Claudio Tocchi ha scritto:

    Stupendo! Complimenti e grazie davvero per la condivisione: la Dunlop Dinasty non è certo quella che si possa definire una rivelazione, ma rileggere la sua storia è sempre un piacere, specie se scritta così bene!
    Chissà dove sarebbe arrivato DJ…

  2. ricgsx ha scritto:

    Bellissimo.
    Parole già lette e storie conosciute ma sempre emozionanti.

  3. Harno ha scritto:

    Sono stato al TT nel 1994, 95 e 99.
    In questo filmato di Youtube fu l’ultima volta che vidi correre Joey dal vivo come spettatore (1999); ed ogni volta era sempre una grande emozione. Indimenticabile !

    https://www.youtube.com/watch?v=6AvyZqW7WX4

  4. MrBallymoney ha scritto:

    Meraviglioso articolo che rende merito a quello che è stato a mio giudizio il più grande pilota di roadracing e uno dei più grandi piloti in assoluto. Lontano dai riflettori lontano dalle “bambinate” e dagli screzi senza senso dei piloti campioni di circuito attuali.A mio giudizio nell’olimpo assoluto dei più grandi piloti di velocità ci sono tre nomi che si ergono sopra a tutti; Joey, Ago e Mike “the bike”,gli altri seppur grandissimi rincorrono….per un motivo o per l’altro. E voi cosa ne pensate….?

  5. Rudolf Friedrich 01 ha scritto:

    Bell’articolo. Contiene dei particolari che ancora non conoscevo.

    E grazie ad Harno pèer la condivisione del filmato con la splendida RC-45 e JD.

  6. Oreste ha scritto:

    Ho visto dei filmati di Joey e i suoi Compagni che correvano sulle strade sterrate e sconfinate Irlandesi con delle moto corsaiole con i semi manubri.
    Dedicato a tutti gli adolescenti veramente appassionati di Moto che sognano… le Corse e hanno sognato…e messo le mani sul loro motorino dentro i garage, o nelle officine di paese o periferia ma anche nelle cascine stile Gay Martin.Oggi posso affermare che quando esce fuori il Campione da quelle storie Vere e Romantiche che hanno uno spessore superlativo e diverso nella Vita come quella di Joey oltre alle Vittorie Bellissime emerge L’Uomo degno del Vero Universo.

    Saluti

  7. marco grasso ha scritto:

    The king

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