E’ passato ormai del tempo dalla notizia della scomparsa di Davide. Aspettavo il momento giusto per scrivere qualcosa su di lui, aspettavo che le emozioni si placassero, ma ho la sensazione che potrei aspettare per sempre, perchè, in realtà, un momento giusto per queste cose non esiste.
Sabato sera 31 maggio, il mio caro amico Davide Ansaldi è stato vittima di un incidente fatale: lo scontro tra la sua moto e un’auto, nel paese di Castelletto Stura, nel cuneese, a pochi chilometri da casa a San Michele Mondovì.
Quella casa dove lo aspettavano la mamma Marinella, il papà Bruno e il fratello Daniele, persone buone, genuine, di quelle che si trovano ormai sempre più di rado.
La notizia, terribile e inaspettata, ha iniziato a circolare timidamente, dall’Italia all’Irlanda, la sua seconda casa; con cautela, quasi a voler sperare che non fosse vera. Ma poi, la triste verità.
Potremmo stare ore a parlare delle imprese di Davide, che nel 2003 era già stato vittima incolpevole di un incidente stradale, nel quale aveva perso una gamba e dal quale si era dovuto completamente reinventare. Le difficoltà con la protesi non lo avevano fermato e lui voleva fare di tutto: sci, snowboard, paracadutismo. E road races.
La famiglia Ansaldi era una di quelle “pane e motori” e, con il padre e il fratello Daniele, Davide aveva frequentato già dagli anni ’90 l’ambiente delle gare in salita.
Ma poi la sua attenzione si era rivolta totalmente alle corse su strada irlandesi: iniziò per bene, come si deve, contattando Pier Giuseppe Ortalda (Presidente del TT Supporters Italy) per farsi aiutare con iscrizioni, nullaosta, regolamenti. Era il 2011 e, da quel momento, Davide si innamorò completamente delle road races.
L’esordio avvenne sul tracciato dell’Ulster Grand Prix con un Kawa 400, per proseguire poi con Armoy, Cookstown 100, Tandragee, Skerries, Faugheen, Athea, Bush, Scarborough, Walderstown, Mid Antrim, Killalane…
Ad un certo punto Davide aveva persino abbandonato l’idea di rientrare in Italia tra una gara e l’altra e si era trasferito ad Armagh, un paesino in Irlanda del Nord sotto al lago Neagh, dove viveva nel suo furgone adibito a piccolo camper e lavorava in un’officina meccanica. Nei weekend, poi, metteva in moto il furgone e viaggiava in lungo e in largo per l’Irlanda raggiungendo i piccoli paddock delle road races, dove era ormai ampiamente conosciuto e amato.
Le difficoltà c’erano, è ovvio, in primis legate al denaro: niente sponsor, le carene della sua moto (diventata poi una Yamaha R6) erano pressochè spoglie. Nel 2013 mi disse “Quest’anno sono riuscito a recuperare un treno di gomme e un paio di occhiali…”, per chiarire il suo livello di aiuti finanziari.
E poi le difficoltà dell’essere sempre “on the road”, come quando, a causa della bandiera italiana che sfoggiava sul cruscotto, una notte il suo furgone è stato preso d’assalto poichè qualche facinoroso nordirlandese aveva scambiato il nostro tricolore con quello irlandese; con Davide all’interno del furgone, zitto e immobile, a sperare che la rappresaglia finisse presto.
Il suo grande sogno era il Manx GP, un sogno che purtroppo non si è mai avverato sempre a causa delle scarse risorse finanziarie. Ma all’Isola di Man Davide ci ha corso ed è pure salito sul terzo gradino del podio, nella Senior Support Race della Southern 100 2014.
Ho incontrato Davide Ansaldi per la prima volta all’Ulster GP 2013, nella parte del paddock riservata ai privatissimi, quella più lontana e fangosa.
Lui era con l’amico Jason, il furgone e la moto. Da quel primo incontro, Davide mi è entrato nel cuore e ne è nata una bellissima amicizia.
Nel 2017, quando aveva preso la decisione di appendere “momentaneamente” il casco al chiodo perchè le difficoltà economiche si erano fatte pesanti, abbiamo organizzato un viaggio dell’ultimo minuto come spettatori alla sua gara preferita, la Skerries 100. Una road race pochi km a nord di Dublino, per un weekend che si è trasformato in uno dei viaggi più divertenti della mia vita. Non appena arrivati in zona, ho subito cercato il tracciato e quando Davide mi ha spiegato che ci eravamo proprio sopra ho faticato a crederci. Guidavo per quelle stradine strettissime, lui seduto di fianco a me alternando spiegazioni tecniche del circuito a commenti sulla nostra macchina a noleggio (“Senti che sound il motore di questa Clio, sembra che abbia inghiottito una mucca!”).
Poi, ci siamo diretti verso il paddock per salutare qualche amico. La sua realtà era ben diversa da quella che siamo abituati a vedere, ad esempio, al TT: la sua era una realtà fatta di team privatissimi, spesso formati dal solo pilota, con moto e furgone nel fango, con il paddock come casa e le carene senza sponsor. Proprio come lui. Inutile dire che il suo ingresso nel paddock, quella sera, è stato acclamatissimo. Fu Joe Loughlin (al tempo pilota esordiente) a richiamare l’attenzione generale, vedendolo e urlando con accento irlandese “Davido! Fancoulo!”, una delle parole base di italiano che Davide aveva insegnato… E’ difficile descrivere le emozioni di quella sera, al tramonto nel paddock, a vivere l’atmosfera delle road races, quella vera, quella non patinata, quella che in pochi ti raccontano. E a viverla con una persona che ne era stata parte integrante e altamente apprezzata.
Davide non tornò più a correre, ma stava solo aspettando. Nel 2024 mi aveva infatti confidato il suo nuovo progetto di trovare un sidecar, iscriversi alla scuola di Greg Lambert in Inghilterra e poi, chissà… “C’è sempre quella parte sommersa tipo lava vulcanica che resta lì, non si spegne. E ogni tanto riemerge”, diceva. E per lui era riemersa con questa nuova “pazza” idea. Che, purtroppo, non ha fatto in tempo a realizzare.
I sogni condivisi erano tanti, abbiamo passato parecchie serate a fantasticare su ciò che avemmo potuto fare. Mi incitava spesso: “Marta, ma molliamo tutto e andiamo in Irlanda, seguiamo le road races con un furgone e cuciniamo, si chiamerà Food Racing From Italy!”. E le cose, come le diceva, era quello il suo pezzo forte: con lui era una risata unica, continua.
Era tosto, cocciuto, come quando in aeroporto a Dublino ci siamo imbattuti in una lunghissima coda che lo avrebbe costretto in piedi per parecchio tempo; ma lui in quei giorni stava facendo fatica con la protesi, gli si leggeva in faccia la sofferenza. Quindi, non appena ci sono passati a fianco gli addetti aeroportuali che accompagnavano persone in carrozzina, mi sono mossa per fermarli. Ma la mano possente di Davide mi teneva ferma: guai a me se avessi osato chiedere aiuto.
Non voleva essere trattato diversamente, non voleva essere un problema. In un’intervista, tanti anni fa, mi aveva detto: “Il fattodi avere un pezzo in meno non fa differenza, perché tanto usi sempre il cervello. Le gambe sane sono un extra”.
La sua autoironia e il suo umorismo, tuttavia, ad occhi attenti celavano qualcosa. Imparando a conoscerlo, ho capito che era sì il suo carattere, ma anche un suo modo di reagire a ciò che lo faceva soffrire, a ciò che intorno a lui non funzionava. Una “leggerezza” di spirito che celava una profondità di pensiero e una bontà d’animo rare.
In un periodo in cui mi sentivo particolarmente giù, poche persone mi sono state vicine come Davide. Su whatsapp mi mandava “Il cielo d’Irlanda” di Fiorella Mannoia e una volta mi scrisse un proverbio irlandese che aveva imparato: “Always remember to forget the things that made you sad. But never forget to remember the things that made you glad” (Ricordati sempre di dimenticare ciò che ti ha reso triste. Ma non dimenticarti di ricordare le cose che ti hanno reso felice”).
E io ricorderò per sempre te, caro amico mio, con un’immagine in particolare. Dundrod, 2013: Davide Ansaldi, dopo aver tolto l’iconico casco giallo e nero, viene chiamato sul podio a sollevare un trofeo molto particolare, lo “Spirit of the Ulster GP Award”.
Un riconoscimento speciale, per chi come lui ha saputo incarnare il vero spirito del road racer.







Mi ricordo di lui , mi stavo vestendo per entrare a franciacorta e mentre io mettevo gli stivali lui si metteva la gamba , poi un amico mi raccontò delle sue imprese nelle road racers e la mia ammirazione per la tenacia la resilienza come usa dire adesso , la pazza volontà di vita sono cresciute
Ciao grande cuore Italo-irlandese salutami tutti i Dunlop con cui starai brindando
Non conoscevo la storia di Davide ma a te il merito di averlo raccontato facendolo arrivare come un pugno in piena faccia. Ringraziamo Davide per aver scritto una bella storia di vita e te per averla raccontata .
Beautiful writing Marta. ( And I am in tears here reading them. )
Per sempre ❤️
Una persona d oro . . . Come tutta la sua famiglia 🥰
❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️🔥