Intervista a Nicolò Capelli – Una passione dura a morire…

Agosto 2017. Mentre gironzolo per il paddock del Manx Grand Prix incontro Nicolò Capelli. Ci siamo sentiti spesso durante i mesi della sua preparazione al Manx ed ora eccolo qui, con la sua Yamaha R6, un furgone, una tenda, un meccanico e un’amica, pronto ad affrontare per la prima volta il tracciato dell’Isola di Man. 

Nicolò durante le prove del Manx GP (foto: LapConcepts)

Nicolò ha un entusiasmo contagioso. La sua voglia di mettere le ruote su quel mitico circuito di 60,7 km è ineguagliabile; conosce le curve a memoria, così come dovrebbe essere, ed è fiducioso nelle proprie capacità.  Ventiquattro anni, di Zogno (Bergamo), quell’anno Capelli è uno dei tre italiani newcomers all’isola di Man, assieme a Francesco Curinga e Matteo Bardelli; un bel trio di piloti non professionisti con storie molto diverse alle spalle ma lo stesso amore per le corse su strada.

La storia di Nicolò, però, cambierà drasticamente proprio quell’agosto 2017. Dopo una piovosa settimana di prove, finalmente arriva la prima gara del Manx GP, quella dedicata proprio agli esordienti: dopo pochissime miglia, tuttavia, la gara viene fermata con bandiere rosse per un brutto incidente a Oak Tree, la sinistra prima di Braddan Bridge, dove si trova la Joey Dunlop Foundation. Moto a fuoco, pilota a terra, tutto fermo per ore. E quel pilota è proprio Nicolò.

Lo abbiamo incontrato di nuovo poco tempo fa e ci ha finalmente raccontato tante cose.

 

È passato oltre un anno e mezzo dall’incidente. Come stai fisicamente?

Fisicamente mi sono ripreso bene, l’unico problema che probabilmente rimarrà permanente è il danno subito al gomito: ho perso in parte la mobilità del braccio, non si piega più del tutto. Mi crea problemi nella vita quotidiana a fare certi lavori e sollevare pesi. Ma in moto fortunatamente non va male.

 

Quali sono stati i danni subiti all’Isola di Man e com’è stato il recupero?

Subito dopo il mio incidente quasi mortale sono stato operato d’urgenza all’ospedale dell’isola di Man, dove ho subito un bypass all’arteria femorale che era stata recisa dalla mia moto che mi è venuta addosso. Il giorno dopo sono stato trasportato in elicottero all’ospedale di Liverpool, dove mi hanno sistemato altre ferite e messo in coma farmacologico. Sono rimasto lì una settimana, avevo anche un polmone collassato e bisognava aspettare la guarigione di quello per potermi trasferire in ospedale in Svizzera, dove vivo. Lì, dopo vari esami hanno deciso come operarmi: c’era l’ipotesi di eliminare le varie parti dell’omero danneggiate e sostituirle con una protesi, che però avrebbe comportato grossi problemi nella vita quotidiana; oppure costruire un impianto di titanio. Sono stato operato quasi subito e poi sono rimasto altre due settimane in ospedale. In seguito mi sono fatto quattro settimane in una clinica per la fisioterapia intensiva, poi altre due ancora in ospedale in Svizzera per una seconda operazione dovuta a un’infezione. Assieme alla fisioterapia ho ricominciato lentamente a lavorare. La parte del corpo più danneggiata è stato il lato sinistro, perchè ha impattato contro il muro: bacino distrutto, tutte le costole sinistre rotte, e poi scapola, spalla, gomito, omero, ulna e radio. A destra ho invece rotto la clavicola, lo scafoide e due costole, oltre all’arteria femorale recisa. Questi sono stati i danni.

 

Sei riuscito a stabilire con esattezza le cause della caduta?

Un’immagine dell’incidente, che Nicolò ci ha dato il permesso di pubblicare.

Inizialmente no, anche perchè con la botta presa alla testa avevo perso momentaneamente la memoria, non ricordavo nemmeno più di essere stato all’isola di Man. Poi mi hanno spiegato la situazione ed è stato come cercare di ricordare un sogno. In seguito sono riuscito a ricostruire l’incidente, mi ricordo che ero in quinta marcia e dovevo scalare in seconda per affrontare Oak Tree. Nello scalare le marce il cambio si è comportato bene, ma quando ho mollato la frizione mi sono accorto che qualcosa non andava: la moto continuava ad accelerare anche a gas chiuso. All’inizio credevo di riuscire a girare a destra della quercia e prendere, per intenderci, la prima uscita della rotonda; ma nel frattempo ero già troppo oltre e questa soluzione non era più percorribile. Mi rimanevano due opzioni: o frenare in qualche modo sperando di impattare il più lentamente possibile contro il muro, oppure avevo quasi l’istinto di buttarmi giù dalla moto, ma ho optato per la prima soluzione. Nel momento in cui ho tirato la frizione la ruota posteriore ha però perso aderenza e la moto mi ha disarcionato, credo attorno ai 100km/h; sono scivolato per una decina di metri e ho picchiato con la parte sinistra del corpo contro al marciapiede e il muro. Poi è arrivata la mia moto, che mi ha travolto e ha preso fuoco. Da lì in poi ho ricordi sfuocati delle fiamme e dei rumori delle moto che passavano lente. Il marshal che mi ha soccorso ha detto che ero cosciente, rispondevo alle domande e non mi lamentavo del dolore; poi mi hanno sedato.

 

Fino a quel momento come stava andando il tuo Manx?     

Molto bene. Non essendo in condizioni economiche ottimali non sono stato in grado di comprare un motore di scorta per la R6, usavo un motore revisionato durante l’inverno e con cui ho corso il Motoestate nei mesi precedenti il Manx. Il mio piano era quello di “risparmiare” il motore nelle libere cambiando marce a 13.000 giri anziché ai 16.500 del limitatore; nonostante ciò sono sempre stato tra i primi 5 nella classe dei newcomer, addirittura una sera terzo! E nel settore del Mountain ho anche avuto il primo tempo. Per le qualifiche, invece, volevo dare il 100% del motore e fare la pole. Su 4 giri disponibili, però, sono riuscito a fare solo il primo, che avevo in mente di fare piano per dare il 100% dal passaggio lanciato sul traguardo. Non sono arrivato però alla prima fotocellula che la moto si è spenta per un problema. Avevo comunque ottime aspettative per la gara.

 

Come ti sei preparato per affrontare un tracciato così impegnativo, nonché la tua prima road race?

Curinga (a sinistra) e Capelli (a destra) nel paddock del Manx GP 2017 (foto: Dave Kneen)

Ho passato tutto l’inverno studiando video onboard su Youtube; studiavo settore per settore, quando ne avevo imparato uno a memoria passavo al successivo e solo alla fine ho cercato di memorizzare per intero il tracciato. Non ho mai usato videogiochi perchè per me non sono molto realistici. Preferivo guardare video, soprattutto di McGuinness, perchè la sua guida mi affascina. L’importante in quella fase era capire dove giravano le curve.

 

Del tuo approccio mentale e organizzativo al Manx GP cambieresti qualcosa?

Per quanto riguarda l’approccio mentale no, mi sentivo contento e soddisfatto, non avevo mai commesso errori di guida durante le prove, mi sentivo a mio agio. Per quanto riguarda l’organizzazione del team, preferirei affidarmi a persone più competenti e di fiducia che conosco meglio.

 

Dopo quanto tempo sei riuscito a risalire in sella?

Il mio incidente è avvenuto il 29 agosto 2017. Appena sono stato dimesso dalla clinica di fisioterapia ai primi di novembre ho preso clandestinamente la mia Kawasaki 636 e ho fatto su e giù per il passo del Selvino… Quella sera la mia famiglia lo ha scoperto, mi hanno “tirato le orecchie” e sequestrato le chiavi della moto… Una volta poi ero in completa crisi di astinenza da moto e avevo ancora la mia R1 da pista, quindi ho chiesto al mio meccanico di portarmi a girare; a metà gennaio siamo andati a Castelletto di Branduzzo e poi a marzo a Franciacorta, ma ho capito che era troppo presto e che le condizioni fisiche per andare forte non c’erano e ho accantonato l’idea della pista.

 

Quali sono i tuoi obiettivi futuri? Vorresti tornare a correre all’Isola di Man?

Dopo aver passato un bellissimo 2018 per strada mi sentivo in buone condizioni fisiche e mentali; la voglia di tornare a correre è tanta, avevo nei progetti quello di iscrivermi al Trofeo Motoestate 600 con il mio vecchio 636 per questa stagione 2019 ma, dopo aver fatto un test a Cremona agli inizi di marzo, ho deciso di smettere… Le mie condizioni fisiche mi hanno consentito di percorrere tantissimi giri senza sforzi nè dolori fisici, ma non sono più riuscito a trovare il feeling giusto con la moto per spingere al limite e provare quindi a migliorare i tempi sul giro. Credo perciò che non valga più la pena di tornare a compiere immensi sacrifici per correre in moto e rischiare di farmi male e danneggiare ancor più seriamente il braccio mal ridotto che mi ritrovo per scarsi risultati in pista. Concludo comunque col dire che quel tarlo del giro secco mancato al Manx faticherà ancora per molto tempo ad uscire dalla mia testa e chissà che in futuro io non possa tornare sui miei passi… Per ora, torno a godermi il motociclismo sui miei adorati passi di montagna, ben lontano dalle piste e dal mondo delle gare.

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2 reazioni a Intervista a Nicolò Capelli – Una passione dura a morire…

  1. Ivo ha scritto:

    Posso soltanto dirti che ho conosciuto un ragazzo d’oro con tanta passione, gli auguro tutto il meglio possibile

  2. Centu76 ha scritto:

    Io spero davvero che tu possa tornare a divertirti in qualcosa di più impegnativo che girare per strada! Per ora non posso far altro che augurarti buona fortuna sei un grande!!!

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