Road Racers – Chi lascia, chi riflette, chi resta

Sono stati mesi difficili per le road races. Mesi in cui anche i più hardcore si sono fatti qualche domanda di troppo. Mesi in cui alcuni piloti stessi, meccanici e addetti ai lavori hanno fatto un passo indietro. 

(Foto: Diego Mola)

E’ sempre successo, non c’è nulla di nuovo in quanto accaduto nell’ultimo periodo. Forse è il come tutto ciò è accaduto che ha lasciato un grande senso di incertezza e amarezza.

30 maggio 2018, Isola di Man. Le prove del Tourist Trophy vengono interrotte per un incidente. Grave, molto grave, lo si può percepire dall’aria che si respira lungo quei 60 km di tracciato sulla piccola isola nel mare d’Irlanda. Più tardi si verrà a sapere che l’amatissimo mannese Dan Kneen è stato vittima di un incidente mortale sul circuito di casa. Dan Kneen, con la sua faccia d’angelo e la sua voce profonda, così timido che parlando gli si formavano due fossette sulle guance arrossite. Dan Kneen, che finalmente aveva l’occasione della vita correndo per il prestigioso Team Tyco BMW. Impossibile crederci. Qualche giorno più tardi, tra muretti e siepi a Tower Bends, trovo uno dei suoi meccanici, mischiato alla folla come spettatore delle gare del TT. “Dan era come un figlio per me. Ho detto al Team che non potevo continuare”.

7 luglio 2018, Skerries. Le tranquille qualifiche della piccola National irlandese si trasformano improvvisamente in un incubo. Le bandiere rosse interrompono tutto e le prove non riprenderanno più. Ci sono situazioni in cui nelle road races si percepisce chiaramente che qualcosa è andato sin troppo storto, che la preoccupazione profonda può essere più che fondata. Fino alle notizie ufficiali: quel sabato pomeriggio una doccia gelata si è abbattuta sul mondo delle corse su strada, con l’incidente fatale di William Dunlop. L’erede della dinastia motociclistica più famosa d’Irlanda, figlio dello scomparso Robert, nipote degli scomparsi Joey e Mervyn, fratello del fenomenale Michael che, ad oggi, non si è più presentato ad altre road races. Ma, soprattutto, compagno della giovane Janine, padre della piccolissima Ella e di un altro bambino in arrivo… Una famiglia distrutta, straziata dal dolore e beffata da un destino terribile: un destino che ha scelto di prendersi William proprio in una delle ultime gare che il trentatreenne aveva deciso di disputare nella sua vita. Proprio così, William aveva infatti deciso di ritirarsi dopo l’Ulster GP.

12 luglio 2018, Isola di Man. I muretti a secco che delimitano le strette strade della Southern 100 racchiudono uno spettacolo devastante. Una carambola di moto e piloti a terra, uno dei quali non si rialzerà mai più. E’ James Cowton, ventiseienne inglese di quelli che potremmo definire “road racers duri e puri”, alle gare con l’inseparabile padre, con il quale lavorava anche ogni giorno come muratore; amico di tutti, sorridente e timido ma tanto tanto divertente. Recente vincitore di una North West 200 in cui il suo sorpasso su Joey Thompson resterà negli annali, da due anni pilota dello storico Team McAdoo Kawasaki. Tutto finito così, tra i muretti a secco di una road race da lui amatissima. Dopo l’incidente, la fidanzata Chloe ha partecipato come spettatrice all’Ulster GP e al Classic TT: allontanarsi da questo mondo, per chi lo ha vissuto per una vita intera, vorrebbe dire morire dentro un po’ di più.

Ivan Lintin alla Southern 100 (foto: LapConcepts)

E ancora, l’Ulster GP è stato rabbuiato dalla scomparsa dell’esperto francese Fabrice Miguet, mentre al Classic TT  è purtroppo deceduto il veterano Alan “Bud” Jackson. Per non parlare di chi sta ancora cercando di riprendersi da incidenti terribili: il manxman Dan Sayle si trova in condizioni molto serie dopo una caduta al Classic TT, Ivan Lintin ha davanti a sé una lunghissima strada per il recupero dallo stesso incidente di James Cowton alla Southern 100, mentre Steve Mercer è stato vittima di un errore abominevole durante il Tourist Trophy 2018, scontrandosi frontalmente con un’auto della direzione gara.

E’ sempre successo. Ma forse, questa volta è successo tutto troppo in fretta e a nomi troppo conosciuti. Un colpo duro, durissimo, anche per gli stessi colleghi piloti, alcuni dei quali hanno optato per il ritiro o per una pausa di riflessione. Come biasimarli? Michael Dunlop in primis, toccato profondamente e disperatamente dalla perdita del fratello William, non si è più visto ad alcuna road race dopo Skerries. Paul Robinson, figlio di Mervyn, uno dei membri della storica Armoy Armada, ha da poco annunciato che appenderà il casco al chiodo: decisiva la scomparsa del cugino William. Paul dichiara in un’intervista al Belfast Newsletter: “Smetto per amore di mio figlio. Non sono più pronto a correre il rischio di lasciare senza padre mio figlio Max, non voglio metterlo nella stessa situazione in cui ho vissuto io”. Il padre Mervyn, infatti, scomparse alla North West 200 nel 1980, quando Paul aveva solo sei anni. Robinson, vincitore di gare all’Ulster GP e alla North West, nonché Ulster Road Race Champion 125/Moto3 quest’anno, disputerà la sua ultima gara in carriera il prossimo fine settimana a Killalane, con buone probabilità di vincere anche il titolo di Irish Road Race Champion. “Non abbandonerò le corse, sono la mia vita. Credo che farò correre qualcuno con la mia moto, avrò un mio team”.

Decisione molto simile quella appena annunciata dall’esperto gallese Paul “Moz” Owen, nelle road races da ben 27 anni. Dopo il suo ultimo Classic TT qualche giorno fa, Owen ha dichiarato “Perdere così tanti amici ti fa realizzare all’improvviso cosa prova la tua famiglia quando parti per una gara. Ho ottenuto tutto ciò che volevo ad eccezione di un podio al TT, non ho rimpianti. E’ stato fantastico seguire le orme di mio padre. E’ il momento di fermarsi dalle road races, prima che loro fermino me”. Ma Owen non se ne andrà: “Mi vedrete ancora, voglio aiutare i piloti più giovani”.

Il “ritorno” di McLean accolto con affetto da Micko Sweeney (foto: Chris Usal)

Una droga, una sorta di magia che ti prende dentro: è difficile abbandonare ciò che per questi piloti non è uno sport ma uno stile di vita, al quale offrono dedizione totale. C’è, al momento, qualcuno che le road races le ha davvero abbandonate senza apparente voglia di ritorno (ma speriamo non sia così); qualcuno che ha sempre dichiarato: “le road races non sono la mia vita, io non sono come Ian Hutchinson, voglio fare anche tante altre cose”. Sì, lo avete capito. Guy Martin.

C’è anche chi ha deciso di prendersi un periodo di pausa per riflettere sul proprio futuro ed è poi prontamente tornato. La domenica di gara alla Skerries 100 ha registrato un numero cospicuo di abbandoni. Il dublinese Derek Sheils, in particolare, ha preferito fare un passo indietro, restare lontano dalle corse per qualche mese e valutare se proseguire o mollare tutto. Era già pronto per l’Ulster, è poi tornato all’Isola di Man per il Classic TT: il richiamo delle corse è stato più forte del resto. E’ stato così anche per il giovanissimo Adam McLean, scioccato dall’aver assistito in diretta alla caduta mortale del compagno di squadra James Cowton. Dopo averlo soccorso e aver testimoniato in prima persona il lato più crudo delle corse, Adam ha dichiarato, sconvolto, che non avrebbe più corso, almeno per quest’anno. Ma poi, eccolo subito ad Armoy, incapace di stare lontano da ciò che più ama.

Nel paddock di Faugheen, nel sud dell’Irlanda, dopo questi tragici avvenimenti ho cercato di raccogliere alcune testimonianze dei piloti che, invece, non hanno avuto dubbi e hanno continuato. Farli parlare di questo è stata un’impresa che sapevo essere difficile ma non immaginavo così tanto. Questo è un argomento tabù per la mentalità anglosassone: ho quindi cercato di introdurre il discorso con grande tatto e delicatezza con Derek McGee (vero dominatore della stagione 2018), Paul Jordan (compagno di squadra di William Dunlop nel Team Temple Golf Racing) e Melissa Kennedy (grande amica di Gary Dunlop, con cui condivide il gazebo alle gare – Gary si è presentato regolarmente alle road races ma schivo, sguardo basso e sofferente, essendo molto legato al cugino William).

La prima domanda è stata chiaramente se essi stessi, come altri piloti, avessero mai messo in dubbio ciò che stavano facendo, dopo i recenti tragici avvenimenti. “Sì, certamente, ci ho pensato ed è qualcosa che c’è da qualche parte nella mia mente” risponde prontamente Melissa. “Ma se sono qui è perché amo tutto questo e so che se mollassi me ne pentirei profondamente”.

Derek McGee con la Supertwin (foto: Diego Mola)

“Dopo fatti come questi, per i primi giorni è veramente dura” aggiunge Derek McGee. “Ma poi torni e se lo fai sai bene che devi mettere da parte questi pensieri”. Jordan, molto deciso, afferma: “Non vedo il motivo di fermarsi. Quei ragazzi stavano facendo ciò che amavano, io sono nella stessa situazione. Se lasciassi tutto e cercassi un altro sport so che non sarei così felice, io sono davvero felice quando corro in moto”.

Chiedo poi se secondo loro ci saranno dei cambiamenti dopo quanto accaduto. “Non credo” replica la nordirlandese Melissa Kennedy. “Queste cose sono sempre successe e non è mai cambiato niente in maniera grossa. Ora ci sono alcuni piloti che stanno facendo un passo indietro perché evidentemente ognuno ha una reazione diversa, ma non credo ci saranno dei cambiamenti”.

Il “Mullingar Missile” McGee solleva invece una questione scottante:  “Spero non ci saranno cambiamenti. I costi delle assicurazioni per l’anno prossimo saranno ancora più un problema per le piccole Nationals. Spero non accada niente, non sopporterei vederle sparire perché sono le mie gare preferite, ma dentro di me sento che la situazione non è per niente bella per l’anno prossimo”.

Qualcuno, inoltre, suggerisce l’abolizione delle grosse cilindrate; introduco questo argomento con Jordan e McGee: “Non vedo alcuna ragione perché debba succedere questo. Ci sono incidenti in tutte le categorie, non è la potenza della moto il problema” afferma deciso il nordirlandese Paul Jordan.

McGee va a fondo della questione: “Beh, io su molti tracciati sono più veloce con il 600cc che con il 1000cc. E la moto con la quale oso di più è la Supertwin. Quando avremo gli stessi tempi su tutti i tracciati con 600 e 1000 si dirà di abbassare ancora a quale categoria? No, non credo proprio sia una soluzione”.

Sono tanti i discorsi che si possono fare sul mondo unico che sono le road races. In particolare in un momento così delicato in cui questo sport torna ad essere nell’occhio del ciclone. Ma del quale solo pochi appassionati capiscono la vera essenza. E capiscono le motivazioni di tutti: di chi lascia, di chi riflette, di chi resta. 

 

 

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7 reazioni a Road Racers – Chi lascia, chi riflette, chi resta

  1. richard ha scritto:

    Anche per chi segue da lontano le Road Races senza viverci in mezzo quest’anno si è percepito qualcosa di diverso. Una sensazione difficilmente spiegabile. Secondo me invece qualcosa dovrebbe succedere. Una riflessione seria su eventuali modifiche per tentare di renderle più sicure ma senza stravolgimenti s’intende. Se non si considera neanche la questione, allora si, credo che prima o poi saranno destinate a scomparire.

  2. Massimiliano ha scritto:

    Tutto ha un termine, vale anche per le Road Races. Non ci sono solo i piloti, che ovviamente attirano tutta la nostra attenzione, ma anche gli organizzatori, i proprietari delle moto, i Marshall ( che vengono sempre dimenticati ), e gli appassionati ( gli spettatori ). Periodi bruttissimi, simili a questo, ci sono già stati, dal 2000 al 2002 per esempio, che ricordo perché l’ho vissuto ( da internet ). Di sicuro ce ne sono stati anche prima, e le gare finora sono continuate. Quanto a lungo continueranno, nessuno lo può dire. Rinunciare ad alcuni circuiti più pericolosi della media può aiutare ? Non penso, i piloti si prenderebbero qualche rischio in più ed il rischio prima o poi si paga. Non parlo di spirito umano che supera ogni barriera ( copiando mitico dottor Costa ), perché ci sono e ossa e la vita dei piloti in ballo. Saranno i piloti a decidere, con le loro partecipazioni o meno alle gare.

  3. Romi908 ha scritto:

    Non é una soddisfazione, ma sono contento di quello che ha detto Paul Robinson, sembra abbia letto il mio commento dell’altra volta… rispecchia in pieno il mio pensiero. Io aggiungerei che non si può morire per divertimento, una passione deve finire quando il rischio diventa troppo alto, soprattutto se si ha famiglia. Poi mi.ripeto per professionisti lautamente pagati entriamo in tutt’altri ragionamenti che esulano dal buon padre di famiglia.

  4. Stefano Albrigi ha scritto:

    Un bellissimo resoconto , ma allo stesso modo così triste..così cupo.
    Non so cosa possa cambiare per riuscire a ridurre questi danni così strazianti. Il contesto è quello..le strade,le motociclette più potenti del pianeta,la velocità sempre più in aumento x cercare nuovi record,nuovi limiti..non so cosa si possa cambiare …
    Da parte mia un GRAZIE a tutte queste persone,ad ogni singolo pezzo del puzzle,che mi regalano davvero emozioni uniche.

  5. franco calissi ha scritto:

    Grande rispetto per tutti e per tutte le reazioni,perchè è sicuramente più facile scrivere che essere protagonisti

    Certo una risposta ai tanti dubbi di questi ragazzi va data,gli va data una risposta al “fermare le corse prima che queste fermino me”

    Sono d’accordo con Richard sopra,c’è stato qualcosa di diverso e non solo i nomi

  6. Gabriele Pezzotta ha scritto:

    Il TT si corre dal 1907.
    Il Manx GP si corre dal 1923.

  7. Gabriele Pezzotta ha scritto:

    Consiglio a tutti gli appassionati di fare una donazione ad una delle molte associazioni che aiutano in piloti infortunati, le famiglie di quelli che purtroppo non sono tornati o quelle dedicate all’elisoccorso o al continuo lavoro per la messa in sicurezza dei circuiti stradali.
    Cito la TT Injured Riders Associaton ed il TT Supporters Club.

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